giovedì 17 marzo 2011

Letto: La Patria, bene o male

Carlo Fruttero/Massimo Gramellini
La Patria, bene o male
Saggio storico, 357 pagine,
La Stampa/Mondadori
Giudizio: da leggere da sfogliare da buttare
La Patria, bene o male. Nel senso che sì, bene o male anche gli italiani hanno qualcosa da chiamare patria. Per molti di loro rappresenta un’idea confusa, o del tutto assente. Ma quel “bene o male” richiama anche l’impostazione del libro, un almanacco di 150 date essenziali per capire la storia d’Italia. 150 date che oscillano tra bene e male, tra momenti memorabili e memorie che si preferirebbero dimenticate. Ma Fruttero e Gramellini conoscono l’importanza dell’esperienza e ci hanno regalato un volume utile per ripassare questi nostri primi 150 anni, impossibili da riassumere se non attraverso una statistica: sono molte di più le date che etichetterei come “male”.
10 marzo 1872: dopo la morte di Cavour nel 1861 (solo Torino si fermò per lutto), se ne va Giuseppe Mazzini.
«E l’Italia che ho sognato? È dunque una parodia?» aveva scritto quel grafomane in una delle ultime lettere. Di sicuro era e rimane una nazione melodrammatica, che ha sempre considerato con fastidio le personalità rigorose. Infatti ai suoi funerali non c’era nessuno. Non i potenti, che lo volevano in galera. E tanto meno il popolo, che non aveva gli strumenti per capirlo, a cominciare dall’alfabeto.
11 maggio 1883, alla Camera si dibatte su quello che sarà il primo inciucio dell’Italia unita, un grande centro ante litteram sostenuto dal primo ministro Depretis.
L’idea di assorbire i moderati dello schieramento avverso e costruire un Grande Centro governativo che isoli le Estreme non è nuovo. L’aveva già avuta il «destro» Cavour, alleandosi col «sinistro» Rattazzi per dar vita al «connubio», che altro non era che trasformismo sostenuto da un ideale: unire le forze per unire l’Italia. Depretis ha ambizioni più modeste: tirare a campare. […] Si procede dunque al voto. I favorevoli al trasformismo sono 348, i contrari appena 29. L’Italia ha scelto con chiarezza da che parte stare: in mezzo.
29 dicembre 1908, un terremoto devasta Messina e Reggio Calabria. Il maremoto che ne segue devasta quanto lasciato in piedi dal sisma.
Accorrono i primi soccorritori e sono russi, seguiti dagli inglesi: quando si degneranno di arrivare, le navi italiane dovranno attraccare in terza fila. […] La macchina dei soccorsi è un’altra tragedia. «A Messina […] si ebbe un saggio da manuale di quel che le pubbliche autorità non devono fare in presenza di un disastro.» Una leggenda sostiene che sia stata l’incapacità del responsabile della protezione civile, generale Mazza, ad aver dato origine al detto «non capire una mazza».
28 settembre 1911, l’Italia pretende un angolo di Mediterraneo. Il resto è occupato da inglesi e francesi, noi si punta alla Libia. In breve prendiamo Tripoli e le altre città, ma quando un attentato elimina un reggimento di bersaglieri, va in pezzi la convinzione che la gente del posto ci ami.
La delusione innesca la rappresaglia. Altro che italiani brava gente: quattordici ras locali vengono impiccati nella piazza del Pane, gli altri uccisi o deportati a Ustica. Gheddafi non ha ancora smesso di rinfacciarcelo.
Tra tante pagine indegne, fa capolino qualche vicenda edificante. Quasi sempre, si tratta del contributo lasciato dai migliori tra i nostri connazionali: Guglielmo Marconi, la cui invenzione fu da principio snobbata in patria e accolta con entusiasmo in Inghilterra; Giacomo Puccini che raccolse idealmente il testimone di Giuseppe Verdi; Carlo Collodi, autore di quella che lui considerava una “bambinata” e che invece rimane uno straordinario romanzo di formazione.
I bambini parteggiano tutti per Pinocchio che, come loro, nel fondo è buono, ma non sa resistere alle tentazioni più effimere. […] È un credulone e un bugiardo, un traditore e un figlio amoroso. È insomma un uomo completo in cui possiamo – e dobbiamo – specchiarci senza ipocrisie.

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