martedì 17 aprile 2012

Storia di due città

Sono qui seduto sul cemento della Fiera di Roma, una decina di padiglioni a venti chilometri dal centro della capitale. Per le prossime due ore sarò qui, in attesa che una certa persona completi lo scritto di un concorso per duecento posti di lavoro in un'agenzia statale. Solo sul treno che ci ha portato qui, saremo stati in duecentocinquanta a scendere su quel marciapiede in mezzo al nulla che è la stazione Fiera di Roma. Per la cronaca, il treno aveva venti minuti di ritardo, a Tuscolana era già talmente pieno che pensavamo di non riuscire a salire. Qualche contorsionismo e un po' di imprecazioni, alla fine ce l'abbiamo fatta. La persona che è con me scuoteva la testa, venti minuti di ritardo: non arriveremo mai in tempo, ripeteva. Non siamo in Svizzera, dicevo io, vale per i treni ma vedrai che sarà così anche per i concorsi pubblici. E infatti.

I partecipanti ai prossimi turni continuano a sfilare davanti a me, vedo genitori aspettare qua fuori i figli. È l'ingresso nel mondo del lavoro, bellezza: è uscito dai titoli dei giornali e adesso si sta svolgendo davanti ai miei occhi.
Non essendo un dipendente pubblico, un'esperienza del genere non l'ho mai provata. Mi sembra un po' come i test d'ingresso all'università, solo in scala più grande.

A tre settimane dalle elezioni, perdere quattro giorni di campagna elettorale può sembrare una cattiva idea. Venire a Roma però mi sta aiutando e riordinare i pensieri, riesco a guardare alle amministrative di Asti con il giusto distacco. Ora ad esempio penso a tutto quello che abbiamo detto e scritto, insieme a Fabrizio Brignolo, sul lavoro. L'università, i servizi e gli sgravi alle aziende, l'incubatore di impresa, la riconversione ecosostenibile degli edifici.

Sono progetti seri e fattibili, e nell'atmosfera che si respira qui tra le persone che si mangiano le unghie alla Fiera di Roma, mi rendo conto di quale sia la cosa migliore di quanto fatto, come partito e come candidati: rispetta tutte le persone che un lavoro non ce l'hanno, tutti quelli che sperano di trovarne (o ritrovarne) uno. Essere in pace con la propria coscienza su un punto così delicato, permette di guardare in faccia quel 30% di ragazzi che oggi sono senza lavoro. E vuol dire molto, per chi fa politica e si domanda spesso se la strada intrapresa sia quella giusta.

A venti chilometri da qui, dicevo, c'è la capitale. In centro una macchina ogni dieci ha il lampeggiante blu e i portoni dei palazzi hanno spesso l'insegna di qualche ente pubblico. Insomma, il dubbio che qui si sprechino dei soldi c'è. Roma vuol dire anche una gestione fallimentare dei rifiuti, traffico isterico, criminalità, beni storici e artistici gestiti un po' come capita. Ma la città è sempre splendida, i trasporti pubblici costano poco e c'è persino qualche pista ciclabile.

Qui, nel bel mezzo dell'Italia, si riesce ad aggiustare lo sguardo sul Paese. Lo senti reale, vivo, vicino. Pensi che in fondo risollevarlo non sia un'impresa impossibile, dopotutto è qualcosa di molto concreto. Però ci si chiede quante città, da qui alle due estremità del Paese, condividano i problemi di Roma, quante stiano meglio, come ci siano riuscite. E penso alla nostra, di città, con le sue magagne e le sue virtù, le sue energie addormentate. Ma se è possibile risollevare l'Italia, chi ci impedisce di risollevare Asti?

Sul cemento della Fiera di Roma, ho ancora un bel po' da aspettare. Le persone in attesa del loro turno parlano in capannelli, al telefono rispondono allegramente "crepi" a chi, evidentemente, augura loro il successo. Nonostante la tensione, sembrano di buon umore. Sarà questo cielo di primavera, sarà la convinzione di aver fatto il proprio dovere. Comunque vada, qui come ad Asti, è l'atteggiamento migliore.

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