martedì 11 febbraio 2014

Se diciamo no ad Agrivillage, a cosa diremo sì?

Cosa deve saper fare un amministratore pubblico? Ascoltare, informarsi, spendere le proprie energie per quello che ritiene giusto. Ma è tutto inutile se manca di due doti: la capacità di progettare e di fare analisi razionali sulle proposte. Ne sono convito, a quasi due anni dal mio primo consiglio comunale, ed è quello a cui pensavo andando via dal dibattito di ieri sera sui nuovi centri commerciali. Proposte, appunto, su cui immagino tutti abbiano fatto un ragionamento.

Da un lato Agrivillage, dall’altro le Porte del Monferrato. Io un’idea me la sono fatta. Assodato che c'è un problema enorme di consumo di suolo e di stravolgimento del paesaggio, non vedo in nessuno dei due progetti un’utilità per il tessuto economico della città, né un'idea imprenditoriale convincente. Quanto costa a un esercente insediarsi nel finto villaggio monferrino? Quale attrattività può esercitare quest’ultimo nei confronti dei consumatori e dei turisti? Ha senso proporre enogastronomia tipica (e costosa) lontano dai luoghi di produzione? Per dire, la robiola io la compro dal mio formaggiaio, oppure se sono in gita a Roccaverano, mica sotto l’autostrada.

Però ieri qualcuno ha domandato: se diciamo no a queste proposte, a cosa si intende dire di sì? Ed è più o meno andata in questo senso la risposta di ieri sera dell’assessore all’Urbanistica Davide Arri, che ha spiegato come in tempi di disoccupazione galoppante un amministratore pubblico non possa lasciar scappare alcuna opportunità. Condivido la preoccupazione, ma attenzione: l’Astigiano è disseminato di imperdibili opportunità che a oggi hanno solo prodotto mostri di cemento abbandonati.

La domanda vera è: Asti che idea ha per Asti? Su questo punto sento carenza di dibattito. Bisogna dare atto all’ordine degli architetti di aver stimolato la discussione con gli indirizzi emersi dal festival di architettura: ripensare gli spazi come Campo del palio, il vecchio ospedale, la Way Assauto, stabilire connessioni tra le aree della città, riqualificare le aree fluviali.

E’ un bene che ci siano soggetti capaci di mettere idee in circolo, ma come scrivevo all’inizio la politica deve fare due cose: progettare, analizzare le proposte. La razionalità impone a questo punto di fare attenzione alle utopie. Vecchio ospedale e way assauto sono due spazi di cui si può progettare la destinazione futura, ma non si può sperare di intervenirvi nell’immediato, per una lunga serie di motivi: i tempi delle aste pubbliche, bonifiche, eccetera.

Il che non significa che si debba rimanere con le mani in mano. Anzi, bisogna pensare quali obiettivi realistici darsi oggi per la città di domani: ad esempio rilanciare il nucleo commerciale nelle strade del centro storico (si stimano circa 200 locali vuoti), plasmare il paesaggio urbano attraverso l'innovazione, rendere i cortili e le torri attrazioni turistiche e culturali, fare della città uno snodo di greenways, definire il ruolo dell'università.

Ma serve progettualità da parte della politica. Paradossalmente, è fuori città che c’è l’iniziativa privata più interessante, come emerso ieri sera dai racconti di Chiarlo e altri. In minuscoli borghi di collina hanno avviato imprese turistiche - cantine, relais - che funzionano e che hanno il loro motivo di esistere grazie al contesto paesaggistico e ambientale in cui sono. Se al contrario oggi ad Asti le migliori idee di impresa sono Agrivillage e Porta del Monferrato, beh, allora tocca agli enti pubblici dare un impulso agli investimenti, dimostrando visione d’insieme, realismo, lungimiranza.

0 commenti:

Posta un commento