domenica 21 dicembre 2014

Di chi è il Diavolo Rosso?

Quattordici anni di concerti e di A sud, di incontri e di birre. Il Diavolo Rosso è diventato il baricentro delle nostre serate, ma ora con la musica ferma è in dubbio la sua stessa sopravvivenza. Un problema anche per chi non lo frequenta, perché in una città serve un posto che metta in circolo qualche emozione diversa: prima o poi le vibrazioni raggiungono pure gli indifferenti.


Ora bisogna essere bravi a superare questo momento di difficoltà, cogliendo l’occasione per superare una situazione precaria che si trascina da tempo. Intanto la convivenza con il vicinato, che è un problema da affrontare senza accusare nessuno di essere liberticida. D’altra parte quello che ci preme è far sopravvivere il palco, non il diritto a occupare i gradini lì intorno. Anche se a me piacerebbe che di una città si potessero utilizzare tutti gli angoli: una piazza viva è meglio di una morta, basta farla vivere con il rispetto di cui siamo tutti capaci. La soluzione l’ha indicata l’ordinanza del 5 dicembre: trovare qualcuno che controlli quel che succede davanti al locale. Funzionerebbe ancora meglio, e su un’area più estesa, se si facesse rete con gli altri gestori di locali e con le forze dell’ordine.

E poi c’è la questione della proprietà privata del Diavolo Rosso. Un’anomalia per il tipo di locale e per l’attività che si fa lì dentro. Una storia ormai così lunga lo ha reso un posto di tutti, è entrato nel tessuto sociale e culturale della città. Oggi svolge in parte il ruolo che era del centro giovani, offrendo un luogo di ritrovo, un palco e una sala a chi ha una proposta da condividere. Ma è una libertà d’espressione che potrebbe venire meno in ogni momento, e lecitamente, se il proprietario decidesse di cambiare inquilino. Al momento, per me è questa la priorità da affrontare.

Qualche settimana fa, quando ho chiesto al sindaco di partecipare alla prima riunione al Diavolo Rosso, gli avevo anche fatto una proposta: perché il Comune non ne diventa proprietario? Sarebbe uno splendido tassello per completare il mosaico di cortili, volte e gradini che unisce piazza san martino a corso Alfieri. Tutto il resto è già di proprietà comunale, resta fuori solo l’ex San Michele. Ovviamente oggi un comune non ha la disponibilità economica per comprare neanche una stanza, figuriamoci un edificio storico. L’idea potrebbe essere quella di scambiarlo con uno dei tanti immobili che il Comune ha in programma di vendere, per gli attuali proprietari anche più semplici da mettere sul mercato rispetto a una chiesa. Se persino uno degli storici padri del Diavolo Rosso la ritiene una strada percorribile, come ha suggerito Sergio Miravalle giovedì sera, vuol dire che non è del tutto una follia. Il sindaco si è limitato a dire che è una strada complicata da seguire, ma penso valga la pena approfondire il discorso.

Resta anche l’alternativa dell’azionariato popolare, prospettiva affascinante ma complessa. Quel che è certo è che il Diavolo Rosso uscirà dal momento di crisi se tutti faranno la loro parte: la politica, riconoscendo l’unicità del luogo e del ruolo che svolge per l’intera città; chi lo frequenta, pretendendo ascolto e dimostrando maturità; chi lo gestisce, tirando fuori idee ed energie. Suonarci e passarci dentro le serate è una libertà che si ottiene solo con l’impegno: questa volta, più che la resistenza, potrà l’intraprendenza.

domenica 5 ottobre 2014

[Aggiornato] Sorpresa: abbiamo scoperto una pista ciclabile sul Borbore

Lungo l'argine del Borbore sta nascosta una pista ciclabile che porta dall'ex parcheggio Pam al parco Lungotanaro. L'abbiamo percorsa stamattina io ed Elis, consigliere comunale che in tema di piste ciclabili fa gran belle proposte, scoprendo che il percorso è in gran parte già tracciato.

L'argine del Borbore dietro al campo sportivo

La fine del primo tratto sul Borbore, all'incrocio con viale Don Bianco

Il primo tratto passa a fianco degli impianti sportivi di via Gerbi - sulle sponde del torrente c'è una gran quantità di spazzatura - e dietro alla Saclà, per arrivare poi in piazzale Amendola.

L'area verde prima della Saclà

Verso piazzale Amendola

In futuro il sottopassaggio che porta in corso Alba dovrebbe essere ampliato e reso ciclabile, per ora ci siamo arrangiati salendo sul cavalcavia Giolitti. Superata la ferrovia siamo scesi in corso Venezia e poi in via Cuneo, dove abbiamo attraversato il passaggio a livello sulla Asti-Castagnole e raggiunto nuovamente il Borbore.

Di nuovo sull'argine del Borbore, direzione corso Savona

Passati sotto il ponte di corso Savona, si sbuca al parco Lungotanaro

L'argine, da qui fino alla confluenza con il Tanaro, è di nuovo un immondezzaio ma il paesaggio è gradevole, in particolare dopo essere passati sotto il ponte di corso Savona e sbucati al parco Lungotanaro. Da qui, come noto, si arriva in un attimo in zona via Torchio e al villaggio San Fedele.
Se si riuscisse a ritagliare un tratto di pista ciclabile che consenta di evitare il cavalcavia, restando lungo il Borbore fino al Tanaro, avremmo un nuovo percorso lontano dalle strade e a contatto con i nostri due fiumi. Sono 3,7 chilometri ideali per la corsa, per una pedalata leggera e utili a restituire alla città aree che sono oggi decisamente degradate.


EDIT

Ho scoperto poco dopo questa avventura che la pista ciclabile pianificata tra le opere Pisu corrisponde in parte al nostro percorso: lungo Borbore, piazzale Amendola e poi in corso Alba attraverso il cavalcavia Amendola.

venerdì 4 luglio 2014

Motocross, il mio no alla sanatoria e quel poster da Bruxelles

Qualche valutazione dopo il consiglio comunale che ha visto la mia opposizione sull’adozione del preliminare alla variante urbanistica motocross.

Mercoledì sera è stato sottolineato come non avessimo ancora a disposizione dati certi per valutare il grado di impatto tra motocross e Sic. Dunque la decisione da prendere era politica: ho votato no perché in ogni caso l'adozione del preliminare presentato al consiglio avrebbe aperto la porta a una sanatoria all'interno di un sic. Se l'esito della variante sarà questo, costituirebbe un grave precedente e mi rammarico che la maggioranza abbia deciso di prendere comunque in considerazione questa strada. Come ho avuto occasione di dire davanti al consiglio, ho agito secondo coscienza e sensibilità.

Ma non solo: penso che il ruolo di un amministratore pubblico sia quello di far prevalere l'interesse comune su quello privato. L'avanzamento della variante motocross metterà a rischio la credibilità del Comune o dell'ente che in futuro chiederà di poter gestire il Sic. Questo sì, un atto a garanzia dell'interesse comune degli astigiani: dal punto di vista della tutela dell’ambiente, che è patrimonio e risorsa di tutti, ma anche dal punto di vista dello sviluppo. L'Europa ci ha chiesto di preservare le caratteristiche ecologiche quell'area, ma ci offre anche le risorse per farne un'opportunità economica.

Sono stato nei giorni scorsi a Bruxelles, e l'aria che si respira lì invita a ripensare i nostri territori su scala diversa, in modo innovativo e sostenibile. Dal mio viaggio ho portato un piccolo regalo all'amministrazione, un poster con le foto dei luoghi dove i finanziamenti UE sono stati messi a frutto. Ho chiesto al sindaco di impegnarsi a far comparire Asti su quel poster, e l'ho poi donato all'assessore al Personale Bianchino perché lo affiggesse nel futuro ufficio Europa del Comune. Mi auguro che presto venga individuato il personale da impiegare sulla ricerca e la stesura di bandi e progetti europei.

Preso atto della volontà del Comune di procedere con l'iter della variante motocross, ho chiesto che parallelamente l'amministrazione si impegni - anche prevedendo somme a bilancio - sulla corretta gestione del Sic di Valmanera. Do appuntamento in commissione Ambiente per iniziare a discuterne quanto prima.

martedì 11 febbraio 2014

Se diciamo no ad Agrivillage, a cosa diremo sì?

Cosa deve saper fare un amministratore pubblico? Ascoltare, informarsi, spendere le proprie energie per quello che ritiene giusto. Ma è tutto inutile se manca di due doti: la capacità di progettare e di fare analisi razionali sulle proposte. Ne sono convito, a quasi due anni dal mio primo consiglio comunale, ed è quello a cui pensavo andando via dal dibattito di ieri sera sui nuovi centri commerciali. Proposte, appunto, su cui immagino tutti abbiano fatto un ragionamento.

Da un lato Agrivillage, dall’altro le Porte del Monferrato. Io un’idea me la sono fatta. Assodato che c'è un problema enorme di consumo di suolo e di stravolgimento del paesaggio, non vedo in nessuno dei due progetti un’utilità per il tessuto economico della città, né un'idea imprenditoriale convincente. Quanto costa a un esercente insediarsi nel finto villaggio monferrino? Quale attrattività può esercitare quest’ultimo nei confronti dei consumatori e dei turisti? Ha senso proporre enogastronomia tipica (e costosa) lontano dai luoghi di produzione? Per dire, la robiola io la compro dal mio formaggiaio, oppure se sono in gita a Roccaverano, mica sotto l’autostrada.

Però ieri qualcuno ha domandato: se diciamo no a queste proposte, a cosa si intende dire di sì? Ed è più o meno andata in questo senso la risposta di ieri sera dell’assessore all’Urbanistica Davide Arri, che ha spiegato come in tempi di disoccupazione galoppante un amministratore pubblico non possa lasciar scappare alcuna opportunità. Condivido la preoccupazione, ma attenzione: l’Astigiano è disseminato di imperdibili opportunità che a oggi hanno solo prodotto mostri di cemento abbandonati.

La domanda vera è: Asti che idea ha per Asti? Su questo punto sento carenza di dibattito. Bisogna dare atto all’ordine degli architetti di aver stimolato la discussione con gli indirizzi emersi dal festival di architettura: ripensare gli spazi come Campo del palio, il vecchio ospedale, la Way Assauto, stabilire connessioni tra le aree della città, riqualificare le aree fluviali.

E’ un bene che ci siano soggetti capaci di mettere idee in circolo, ma come scrivevo all’inizio la politica deve fare due cose: progettare, analizzare le proposte. La razionalità impone a questo punto di fare attenzione alle utopie. Vecchio ospedale e way assauto sono due spazi di cui si può progettare la destinazione futura, ma non si può sperare di intervenirvi nell’immediato, per una lunga serie di motivi: i tempi delle aste pubbliche, bonifiche, eccetera.

Il che non significa che si debba rimanere con le mani in mano. Anzi, bisogna pensare quali obiettivi realistici darsi oggi per la città di domani: ad esempio rilanciare il nucleo commerciale nelle strade del centro storico (si stimano circa 200 locali vuoti), plasmare il paesaggio urbano attraverso l'innovazione, rendere i cortili e le torri attrazioni turistiche e culturali, fare della città uno snodo di greenways, definire il ruolo dell'università.

Ma serve progettualità da parte della politica. Paradossalmente, è fuori città che c’è l’iniziativa privata più interessante, come emerso ieri sera dai racconti di Chiarlo e altri. In minuscoli borghi di collina hanno avviato imprese turistiche - cantine, relais - che funzionano e che hanno il loro motivo di esistere grazie al contesto paesaggistico e ambientale in cui sono. Se al contrario oggi ad Asti le migliori idee di impresa sono Agrivillage e Porta del Monferrato, beh, allora tocca agli enti pubblici dare un impulso agli investimenti, dimostrando visione d’insieme, realismo, lungimiranza.

domenica 12 gennaio 2014

Fare il pieno di elettricità in campo del Palio



Zitta zitta, l'ibrida Prius è la 19a auto più venduta al mondo. In Italia nel 2013 si sono immatricolate più o meno 15mila ibride su un totale di 1,3 milioni. E' il 1,63%, poco in assoluto ma una quota più che raddoppiata rispetto allo scorso anno. Ancora di nicchia, invece, il mercato elettrico, ma non è da escludere che l’arrivo di modelli accattivanti come la i3 di Bmw non possa cambiare la percezione di queste vetture.

Il punto è che le propulsioni alternative stanno diventando significative e anche Asti dovrebbe iniziare a interessarsi del fenomeno. L’amico Elis tempo fa suggeriva di premiare chi fa una scelta ecologica con stalli blu gratis, io aggiungo che se e quando metteremo mano alla viabilità cittadina, dovremo pensare a strutture diffuse per la ricarica degli autoveicoli elettrici e ibridi. Per esempio, quattro punti di ricarica coperti da pannelli solari in piazza del Palio. Chissà, magari l’amministrazione (o l’Asp?) riuscirebbe anche a guadagnarci qualcosa.