mercoledì 26 ottobre 2011

Il fango in Liguria e l'esempio di Variglie

Mario Tozzi racconta su La Stampa le cause di quel che è successo ieri in Liguria, regione su cui prima del fango sono piovuti cinquant'anni di cemento. Non ci sarebbe altro da aggiungere, ma è inutile limitarsi a piangere ancora una volta davanti alle macerie. Piuttosto, mettiamoci in testa questo: le amministrazioni che non si pongono come obiettivo lo stop al consumo di suolo e la prevenzione del dissesto idrogeologico sono responsabili di ogni futuro disastro. Non è il caso, non è solo il clima che cambia: il territorio lo governiamo noi con le nostre scelte. Scelte come quella di cui ho scritto ieri su La Nuova Provincia: un piccolo esempio di responsabilità ambientale unita a sacrosanta utilità economica. L'articolo dopo il salto.

"Le villette a schiera sono la prima cosa che salta all’occhio uscendo dalla città, dopo corso Alba. Da tempo paradigma della disordinata espansione edilizia italiana, molte altre potrebbero sorgere, nel corso dei prossimi anni, con l’approvazione della variante al piano regolatore che prevede l’edificabilità di nuovi terreni nelle frazioni: un totale di 70 ettari, secondo il movimento “Stop al consumo di territorio” (vedi intervento nella pagina delle lettere). Ma non è un destino ineluttabile: a Variglie alcuni agricoltori hanno sfogliato le carte della variante mentre questa era in fase di elaborazione.

Cesare Quaglia, responsabile cittadino Coldiretti, e Domenico Viarengo, vice presidente dell’associazione allevatori Apa, si sono presentati davanti al resto della comunità e hanno spiegato perché, secondo loro, nella frazione era preferibile evitare altro cemento. «Abbiamo proposto di presentare un’istanza al Comune per stralciare le nuove aree edificabili previste dalla variante nella frazione – racconta Quaglia – e l’assemblea si è detta d’accordo. Abbiamo avviato una raccolta firme, la Circoscrizione si è messa in moto e il Comune ha accolto la nostra richiesta.» Risultato: a Variglie non si vedranno campi coltivabili scomparire sotto nuove colate di cemento.

«In questa zona le aziende agricole, nonostante le difficoltà, vogliono proseguire l’attività», prosegue Quaglia, che spiega una scelta all’apparenza controcorrente: «Abbiamo voluto preservare il paesaggio, il che ha conseguenze sull’ambiente e sui suoli, e quindi sulla qualità dei prodotti». Una decisione dettata dall’ideologia, ma anche da valutazioni economiche. «Con il consumo di suolo aumentano gli affitti dei terreni, e quindi proliferano i gerbidi. L’abbandono del terreno è una sconfitta per tutta l’economia.» Poi c’è lo stato del mercato edilizio, al momento in profonda crisi. I terreni diventano edificabili, ci si paga l’Ici, ma poi si riusciranno a vendere? Tempi difficili anche per gli speculatori, insomma. Così chi ha un terreno fertile se lo tiene stretto, soprattutto se gestisce un’azienda a conduzione familiare come Quaglia e Viarengo, che a Variglie hanno le rispettive aziende di famiglia. «Oltre alle nostre, qui ci sono piccole attività imprenditoriali come quelle degli ortolani, e tutte contribuiscono a mantenere quel legame tra città e campagna che sta diventando sempre più debole.»

Eppure il settore dell’agricoltura tiene; anzi, qualche paio di braccia in più aiuterebbe, ma i conti a fine mese non lo consentono. Domenico Viarengo è convinto che agricoltura e allevamento abbiano prospettive di crescita, punto di vista condiviso da una figlia che ha già deciso di proseguire l’attività del padre. «Ma servirebbe un occhio di riguardo sul settore, è un elemento importante del tessuto economico astigiano. Tanto per fornire un dato, siamo al terzo posto per numero di capi in Piemonte: pensate cosa significa questo per l’indotto, dalla meccanica ai mangimi.» Sui terreni di Viarengo, dove oggi pascolano i suoi esemplari di razza piemontese, sarebbero potute sorgere nuove costruzioni. Ma lui scuote la testa: «Dobbiamo tenerci stretta la terra. Tutta quella che sottraiamo oggi all’agricoltura, è la fame di domani».

In questa battaglia per la difesa del suolo, piccola per estensione ma grande per la sua portata, non hanno pesato solo gli interessi di chi la terra la usa per coltivare o allevare i suoi capi, ma anche la presa di posizione degli altri residenti. «È stato un bel percorso di democrazia partecipata», dice soddisfatto Quaglia, che però annota come quello di Variglie sia un caso isolato. «Qui abbiamo scelto di mantenere l’identità di un territorio agricolo; tra cinque anni, quando nelle altre frazioni si sarà costruito, la nostra si distinguerà dalle altre»."

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Scusa, ma sei mai stato a Vernazza? Sai di cosa stai parlando? Lì è parco naturale, sono decenni che non si costruisce una casa e non ci sono certo villette a schiera, banalmente non ci sarebbe un metro di pianura per costruirle...
Non mi pare un esempio azzeccato paragonare i due posti, la morfologia dei territori è assolutamente diversa!

Enrico ha detto...

Anonimo,
sono stato a Vernazza e Monterosso. Non a caso ho parlato di Liguria, dove da anni tra riviera ed entroterra capitano disastri di questo tipo; anche ieri gran parte del Levante è finito sotto il fango, non solo le Cinque Terre. Qui quello che è successo è certamente eccezionale e si spiega solo con la violenza del fenomeno atmosferico.
L'esempio di Variglie serviva solo a dire: lo stop al consumo di suolo si può fare, non è un'utopia ambientalista, risponde a ragioni anche economiche che sono diverse a seconda del territorio.

Anonimo ha detto...

Si, ok. Quello che volevo puntualizzare è che lì il problema non è stato lo sfruttamento del suolo e l'ediliza selvaggia. Al limite l'abbandono del territorio causa spopolamento per emigrazione, ma a vedere il disastro che è successo neanche questo può bastare a spiegare la gravità dell'accaduto. Giusto rendere l'idea dell'eccezionalità delle precipitazioni ne sono caduti in alcune zone 500mm quando la scorsa settimana 80 hanno messo in ginocchio Roma...

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