lunedì 29 novembre 2010

L'eredità di plastica

Non so se vederci un simbolismo in questa cosa. Il fatto è che sabato a Villa Paolina si stava lavorando per piantare una siepe. Cornioli, ciliegi, prugnoli, biancospini e altre specie da potare il prossimo anno da tenere basse, in modo da ricreare uno di quegli habitat tipici delle nostre zone, scomparsi quasi ovunque, ideali per ospitare piccoli uccelli e mammiferi. Ma sto divagando.
Insomma, si stava scavando un fosso profondo una quindicina di centimetri, ed ecco che dopo i primi colpi di zappa spuntano dalla terra pellicole di plastica, pezzi di polistirolo, tubi e pannelli di metallo. Non è la prima volta che succede: «Qui è dove gli ultimi frequentatori della villa buttavano via la loro immondizia», ha spiegato l’amico Giorgio. Che ricorda l’enorme quantità di spazzatura portata via durante i restauri: ciò che emerge oggi, insomma, è il residuo sfuggito a quelle pulizie. Eppure le buste di plastica che contenevano il latte e altri rifiuti ormai irriconoscibili continuano ad affiorare, ogni volta che si affonda la vanga nella terra, eredità di persone certamente non sprecone né consumiste. Mi è venuto in mente Saviano e la sua orazione sui rifiuti nascosti ovunque dalla Camorra, e mi sono chiesto se avrei il coraggio di mettere le mani nella terra inquinata dalle mafie e dai loro clienti.
Noi ci siamo limitati a depurare il suolo dalla plastica, indigesta per gli stessi batteri che in pochi anni si mangiano una quercia, per restituirlo alle piante. Che sia un simbolismo, dicevo, o un banale esempio di rispetto verso l’ambiente? La mia fantasia alimentata a sci-fi e cartoni giapponesi ci vede un presagio di ciò cui dovremo abituarci in futuro, se dalla terra vorremo continuare a ricavare nutrimento.

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